di prof.ssa Alessandra Calanchi – Università di Urbino
Anni fa ho collaborato al Dizionario dei temi letterari (Utet) con due voci: corpo e mostro. La voce corpo iniziava così: “La parte materiale e carnale dell’essere umano, di solito contrapposta alla parte spirituale: l’anima, lo spirito, la mente. Passavo poi a definirne le rappresentazioni nella storia dell’immaginario collettivo, le tipologie, i linguaggi, fino a penetrare i segreti del corpo glorificato, del corpo ascoltato, del corpo che dà e toglie la vita. Percorrevo le sofferenze del corpo umiliato, torturato, bruciato, arrivando al corpo ibrido e al cyborg. Correva l’anno 2007 e ancora non potevo conoscere Giorgio Rizzo. Peccato, perché i suoi ritratti presentati alla sua mostra personale Le vie del desiderio (Frida Art Academy di Ascoli Piceno, gennaio- febbraio 2024) sarebbero entrati a pieno titolo nel suggestivo Dizionario a cura di Remo Ceserani, Mario Domenichelli e Pino Fasano.
Corporee fin dai materiali usati (vino bianco, polvere d’argento e rame, polvere dell’Etna e di madreperla …) queste tavole evocano i profumi della terra di Sicilia, da cui Rizzo proviene, mescolandosi con le tecniche apprese nel corso dei suoi studi e delle sue ricerche multidisciplinari, che lo vedono artista, art designer, musicista, attore, blogger. L’ho conosciuto pian piano, grazie a Giada Trebeschi (la formidabile curator della mostra) con cui ha ideato varie performance che funzionano sia teatro sia nei social.
Sono tutti ritratti di donne, non perché lo sguardo sia sessista né perché la donna sia oggettivata. Al contrario, la donna emerge in tutte le sue diverse identità, tutte speciali e tutte ben lontane dagli stereotipi culturali e religiosi a cui sono state a lungo relegate. C’è Persefone ma c’è anche l’amante del diavolo, c’è l’angelo caduto ma c’è anche la sognatrice, tanto che nel catalogo si parla di sacro femminino quando di sacro in senso tradizionale c’è ben poco – non troverete Madonne o Sante, ma donne che dormono, che aspettano, che agiscono. La volontà di conoscenza è descritta in modo particolarmente efficace, con Eva vista dal basso verso l’alto, dal piede alla mela, in una sorta di scatto che non è cedere alla tentazione ma scegliere in libertà la consapevolezza. Come leggiamo nel testo che accompagna le immagini nel catalogo, “Se la conoscenza è il peccato, sogno un mondo di peccatrici”.
I percorsi mentali e associativi che coinvolgono il visitatore e la visitatrice di questa mostra sono molteplici. Come in un giardino di destini incrociati, per dirla alla Borges, Rizzo ci prende per mano non per condurci ma per farci perdere (e poi ritrovare) la strada. Magari, un’altra strada. Il quadro di apertura della mostra ricorda anche l’appeso dei Tarocchi, un’immagine che quest’anno abbiamo appena ritrovato nel film La chimera di Alice Rohrwacher. L’immagine a testa in giù evoca un ribaltamento della situazione, che viene osservata da un punto di vista inconsueto, non abituale. Ciò presuppone una nuova prospettiva, la ricerca di nuove strade. Poi arriva l’Amante del diavolo, che per chi non lo sapesse è anche il titolo di un romanzo di Trebeschi (un giallo ambientato ai tempi dell’Inquisizione che parla di un segreto tramandato di madre in figlia e di giovani condannate al rogo come streghe); l’immagine ripetuta del triangolo (unica forma non rotondeggiante) è simbolo del fuoco di Prometeo, del divino, alchemico e massonico; e ancora il numero nove, ripetuto fin dall’inizio (i nove gironi dell’Inferno ma anche i nove cieli del Paradiso) richiama anche i mesi della gestazione, un’esperienza specifica, unica, del corpo femminile. Ne è un’evocazione implicita Terra madre.
Una curiosità: i piedi giocano un ruolo importante nei dipinti di Rizzo. Sono piedi non angelicati, anzi, rivelano la fatica del camminare, del sostenere, e nell’attimo in cui sono colti dallo sguardo del pittore (viene quasi da dire dallo scatto del fotografo tanto sembrano reali) sorprendono per la loro presenza che spesso è fuori campo. Pensiamoci: quanti ritratti rappresentano solo un viso, o un busto, e comunque nascondono i piedi in calzature! Qui il corpo intero sembra riprendere fiato dalle costrizioni dell’abbigliamento e della pressione sociale, e i piedi si rilassano in un gesto di compensazione. Per questo talvolta appaiono più grandi, in primo piano. Non è feticismo – sarebbe troppo facile. È piuttosto una scelta che li eroticizza senza provocare offesa o scalpore, senza scadere nella banalizzazione oggettivizzante, ma al contrario restituendo loro un’essenza primigenia.
Giorgio Rizzo è il creatore delle Storie Dipinte, delle Storie di Caffè, e insieme a Giada Trebeschi gira l’Italia a portare spettacoli e riflessioni condivise. Ha recentemente illustrato la copertina del libro SMA Senza Mai Arrendersi. La mia battaglia contro l’Atrofia Muscolare Spinale di Alessandra Leidi (Oakmond Pub.) e per la stessa casa editrice aveva già illustrato la copertina di Fino alla fine di noi di Giada Trebeschi (la storia di una giovane donna che nel 1922 sfugge alle brutali violenze del marito) e Solo per i tuoi occhi di Nana Duplessis (la storia di una donna che riscopre la sua sessualità). Ha rilasciato un’intervista sul mio canale youtube che vi invito a visionare: “Il primo suono”.
Giada Trebeschi è storica, studiosa di shakespeariana, autrice per il teatro, scrittrice, editrice – e influencer culturale, come amo definirla. È autrice di thriller storici, fra cui Il convento dei segreti, Il vampiro di Venezia, L’autista di Dio, La bestia a due schiene, Undici passi, La punta di fuoco. Ha ideato La rubrica delle parole desuete e con Giorgio Rizzo la web-serie #Sapevatelo
Articolo pubblicato su GIRODIVITE – 10 gennaio 2024